Noi operai padroni della fabbrica di giocattoli
Un workers buyout salva la ex Bontempi
Rischiava di non compiere il suo ottantesimo anno di età. E invece la Bontempi, storica fabbrica che produceva strumenti musicali, è stata salvata dai suoi stessi ex dipendenti. Quando l’azienda ha chiuso, loro non si sono rassegnati. Hanno formato una cooperativa, associandola a Legacoop, e a più di cinquant’anni si sono trasformati in imprenditori, diventando i nuovi padroncini della fabbrica. I giocattoli musicali vengono ancora prodotti da trentaquattro operai nello storico stabilimento in Abruzzo, al confine con le Marche. Il sogno di questi cooperatori è poter riassumere gli ex colleghi. Anche se la concorrenza sleale della Cina ha sottratto alla fabbrica gran parte della produzione e oggi le tastiere elettroniche non sono più made in Italy. Mentre sul territorio, in un contesto in cui molte aziende falliscono e la disoccupazione cresce, in pochi conoscono davvero sogni e valori che guidano questi operai sulla strada del riscatto.
Testo, foto, video ed editing a cura di Angela Zurzolo
MARTINSICURO, Val Vibrata. E’ il 1984. Nei magazzini in Via del Lavoro 14, enormi macchine verdi ingoiano granuli in plastica. Più in là, quattrocento uomini si alternano alle linee di montaggio. Mani artigiane, braccia operaie, menti vigili. E’ la fabbrica di giocattoli musicali Bontempi. Così grande che per attraversarla molti usano la bicicletta. Ma Marcello vorrebbe montarci su per correre da quella ragazza che è apparsa all’improvviso lì dentro in un giorno di primavera. Lui collaudatore di giocattoli, lei nuova addetta nel reparto dell’elettronica. Si scelgono al primo sguardo. Un pranzo insieme a mensa. Poi, più di trent’anni di matrimonio e due figlie da far laureare. Ora Marcello ha la barba sale e pepe. Il berretto e il gilè blu con le rifiniture rosse di un giocattolaio. Le mani color marzapane. Una vita in fabbrica. Ha 57 anni. E ricorda bene il momento in cui le luci si sono spente. Macchine ferme, biciclette arrugginite. E in tutta la fabbrica, solo il silenzio.
NEL 2003, IL PRIMO SHOCK. “Un fallimento anomalo” racconta Sergio, uno dei lavoratori, “perché si sentiva che l’azienda era ancora viva. E infatti nel giro di due mesi siamo riusciti a ripartire” dice. Ma dopo un tentativo di rinascita, nel 2013, arriva la fine. La Bontempi S.p.a è di nuovo sull’orlo del fallimento. Tutti in liquidazione. La fabbrica chiude. Tre anni dopo il marchio avrebbe compiuto ottanta anni di vita.
TUTTO FINITO? “I miei figli andavano a scuola, mia moglie non lavora. E ovunque mi dicevano: a 53 anni sei troppo vecchio, ormai” spiega Giovanni, programmatore. Anche Mauro si sentiva finito: “senza stipendio, un futuro incerto, avevo famiglia e bimbi”.
LA CRISI ECONOMICA e i cambiamenti del mercato stravolgono il territorio. A fallire nella zona sono in tanti. E del resto, dal 2008 al 2015, in tutto l’Abruzzo, il totale dei fallimenti raddoppia, fino ad oggi, anno in cui si registra il crack di 10mila aziende; percentuale in calo del 6% rispetto al 2015, secondo l’Osservatorio Cerved.
TEMPRA ABRUZZESE Più volte vittima del tracollo di un’azienda è Pierluigi, 57enne con lo spirito combattivo di chi “ha la capa tosta” dice. Negli anni ‘80, faceva il saldatore, lavorava ai carroponti industriali per i cantieri navali in un’impresa a Colonnella, in provincia di Teramo. “E’ fallita, come è accaduto a tanti in quegli anni- spiega-. Il lavoro c’era ma l’imprenditore spendeva tutto quello che guadagnava e alla fine ha chiuso”. E’ così che lui, venticinque anni fa, ha iniziato a lavorare alla produzione di giocattoli Bontempi.
Nel 2003, e poi nel 2013, riattraversa l’incubo insieme ai suoi colleghi. Ma i tempi di reazione sono veloci. Nel giro di quattro mesi, lui è tra quelli che litigheranno con la moglie pur di difendere l’idea della nascita di una cooperativa formata da ex dipendenti che salvi la fabbrica: un workers buyout. “Non volevo che a decidere della mia vita fossero ancora gli altri” racconta, mentre oggi, in pochi secondi, monta uno ad uno i tasti colorati sulle trombette argentate prodotte in fabbrica. La Cina sta loro con il fiato sul collo, “per questo bisogna fare quantità e qualità” spiega. “Ma siamo come una squadra di calcio, funzioniamo bene- dice-. Perché adesso siamo noi lavoratori i padroncini di questa fabbrica e per questo siamo più produttivi”.
NASCE UN WORKERS BUYOUT Trentaquattro tra gli ultimi cento ex dipendenti, oggi, continuano a lavorare nei capannoni che si trovano su diciotto dei trentaduemila metri quadri dello stabilimento. “Nel 2013, dopo la liquidazione, a Potenza Picena, dove c’era l’altro polo della Bontempi, hanno pensato di costituire una società per commercializzare i prodotti di importazione- spiega Giancarlo Pieroni, presidente della Industria Abruzzo coop-. Noi, analizzando i preventivi cinesi, abbiamo capito che in fatto di giocattoli tradizionali c’era ancora la possibilità di competere. Sono voluminosi e il costo del trasporto incide molto sul prezzo finale. Da qui l’idea di formare una cooperativa e salvare parte della produzione, vendendo giocattoli alla commerciale che oggi esporta i nostri prodotti in 70 paesi del mondo”. Affittano un ramo d’azienda, poi, costituiscono la cooperativa. Con 250 mila euro, chiusasi la procedura di concordato regolarmente omolagato, Industria Abruzzo coop acquista le macchine.
ACCESSO AL CREDITO: TANTE LE DIFFICOLTA’ I soci sono costretti a firmare fideiussioni. Poi, ottengono un finanziamento di 180 mila euro: “Cfi, società che promuove le imprese cooperative, entra nel capitale sociale con 40 mila euro, mentre il fondo mutualistico Coopfond interviene con una partecipazione di 130mila euro” dice Pieroni. Dei cento lavoratori dell’azienda, però, solo 34 hanno potuto fare parte dell’impresa perché continuare a produrre strumenti elettronici era impossibile. Una scelta dolorosa, che ha diviso gli amici che prima lavoravano fianco a fianco. “Là fuori ci sono persone ancora disoccupate ed è una cosa che abbiamo sempre a cuore -ricorda Marco, un addetto-. Speriamo di poter fare altre assunzioni, un giorno”.
OGGI SONO FERME molte delle macchine verdi della Bontempi che producevano giocattoli, pianole e organi. Delle trenta, dedicate allo stampaggio, più della metà sono inutilizzate. Ma per garantire stabilità alla cooperativa, si pensa di voler diversificare la produzione, tentare con la realizzazione di altri materiali plastici, per assumere altri ex dipendenti. L’azienda, però, oggi produce prevalentemente giocattoli, strumenti a fiato e percussione, per un totale di circa 50mila articoli al mese. Esclusivamente giocattoli, dunque.
“NIENTE PIU’ ELETTRONICA” dicono con rimpianto gli operai che ricordano che dal 1984 al 1998, si era arrivati a produrre persino pianoforti. Perché la Bontempi aveva acquisito e salvato la Farfisa, azienda piegata dalla concorrenza dei giapponesi, posta in liquidazione dalla Lear Siegler e finita con 279 addetti in cassa integrazione su 649. A produrre ed esportare anche in Italia quegli stessi strumenti, da tempo, ormai, è la Corea. “I coreani ci hanno fatto fuori e hanno messo in commercio un pianoforte sotto costo- dice Giovanni, programmatore che da quarant’anni lavora qui-. Pur rimettendoci, hanno scelto di fare concorrenza al nostro. Noi abbiamo dovuto smettere di produrlo e abbiamo chiuso il settore e loro hanno continuato”. Ma oggi è la Cina la vera minaccia per lo stabilimento di Martinsicuro. Impossibile competere con i costi del lavoro del Dragone. Addio per sempre perciò alla produzione di tastiere musicali a 61 tasti e di piani digitali made in Italy.
IL MOSTRO: IL COSTO DEL LAVORO IN CINA La vita delle aziende che producono strumenti musicali, così come quelli giocattolo a scopo ludico-didattico, in Italia non è stata semplice. “A me non risulta che in Italia ci siano molte aziende che lavorano agli stessi articoli. C’era un’azienda a San Benedetto che produceva anche un organo professionale ma è fallita” spiega Giovanni. Il motivo, oggi, è sempre lo stesso: la concorrenza spietata della Cina. “Noi costiamo venti euro all’ora e i cinesi quattro. Plastica e componenti suppongo la paghino come noi ma la manodopera incide almeno per il 60%”.
LIVIO RICORDA BENE IL BOOM DELLA BONTEMPI “C’erano 450 famiglie che andavano avanti grazie alla fabbrica” dice. Adesso è nonno di tre bambini e abita nelle vicine Marche: ogni giorno fa molti chilometri per arrivare a Martinsicuro. “E’ stato il mio primo lavoro ed anche l’unico, io sono entrato da ragazzino e andrò via da pensionato da qui dentro” dice. Quando lui è arrivato in fabbrica, si producevano tastiere elettriche, sax, pianini, strumenti a fiato, chitarre con fondo in plastica e coperchio in legno, e poi strumenti elettronici, claviette, pianoforti, fisarmoniche. “In ultimo, le batterie, che oggi rappresentano il prodotto che ci aiuta a fare più fatturato” racconta lui, orgoglioso di aver visto nascere tutti i prodotti Bontempi. Il processo di produzione è articolato: “Noi acquistiamo il materiale plastico in granuli, lo trasformiamo con macchine ad iniezione per lo stampaggio e con stampi realizziamo pezzi per l’assemblaggio dei giocattoli- spiega-. Poi li portiamo sulle linee di montaggio. Lì si assembliamo, collaudiamo e imballiamo”.
EDOARDO è un giovane magazziniere ma sta dando una mano all’assemblaggio delle batterie, quando lo intervisto e mi dice: “Spero solo che mia figlia stia meglio del Natale scorso, quest’anno. Ha sei anni e per me è tutta la mia vita”. E’ per lei che continua a lavorare e a credere nella cooperazione. “La nascita di questa cooperativa è stata una bella cosa: non c’erano prospettive, prima”.
BABBO NATALE E LE FALSE COOPERATIVE A pochi chilometri dalla zona industriale, c’è il centro di Martinsicuro. Nella piazzetta vicino la chiesa, altri padri vivono il dramma attraverso il quale sono passati gli operai di questa fabbrica: ogni giorno, sui giornali, i problemi di una nota fonderia della zona, a rischio chiusura, disoccupazione in crescita, l’arrivo dei terremotati del Centro Italia, il fallimento di tante aziende, un comune in dissesto.
Ma è festa e Babbo Natale sta portando in giro i bambini del paese, regalando loro dei piccoli doni. Altri aiutanti di Babbo Natale in motocicletta sorridono ai bambini. Uno di loro dice sorridendo: “Sto in moto perché il mangime per le renne costa più della benzina”. Un altro dice di aver vissuto in macchina, dopo il divorzio con la moglie, e di essere disoccupato. Poco più in là, un giovane Babbo Natale, disoccupato per anni. Adesso è tornato a chiedere lavoro ad una pizzeria in paese. Mi parla di un suo problema di salute, mi racconta di voler entrare in politica e di aver perso la fiducia nella cooperazione. Perché è stato vittima di due diverse false cooperative nella zona, cooperative spurie che strumentalizzano la forma cooperativa per sfruttare i lavoratori. La Coccinella, si chiamava. E lo faceva lavorare per 4 euro all’ora. Come i cinesi. Poi, ha cambiato nome, scegliendo sempre quello di un insetto.E’ il tipico comportamento delle false cooperative presenti in Italia.
UNA LEGGE CHE NON ARRIVA L’Alleanza delle cooperative italiane ha presentato una legge di iniziativa popolare, lo scorso anno, raccogliendo oltre centomila firme in tutta Italia, ma una legge ancora non c’è. E così, la fabbrica di giocattoli in cui i lavoratori combattono ogni giorno per creare occupazione non fa notizia e questo Babbo Natale rimane scettico. Loro prenderanno la tredicesima, quest’anno, ma lui è convinto che tutte le cooperative sfruttino i lavoratori a quattro euro all’ora. Proprio come i cinesi contro cui combattono ogni giorno i lavoratori della Industria Abruzzo Coop per sopravvivere.
RASSEGNA STAMPA:
Left, 29 12 2016, “Gli operai resistenti che salvano la fabbrica di giocattoli”
La7, Coffee Break, 01 02 2017